Sfortuna papera: recensio-riflessione su Bum Bum e il cappello fortunato 01.2020
Marta Leonardi
21 Gennaio 2020
Baciati dalla sfortuna.
Quante volte ci par d’essere vittime del fato? Quanto spesso inveiamo contro la sfortuna, la sorte ria, il destino avverso? E quanto spesso un “Umpf! Doppio umpf” si alza verso il cielo di Paperopoli? Abbastanza spesso. Diciamo tranquillamente ogni giorno, nelle giornate migliori più volte al dì.
Stavolta bersaglio della malasorte è, a suo dire, Bum Bum Ghigno, il nostro paladino nella valle del disagio. La storia è Bum Bum e il cappello fortunato di Corrado Mastantuono (TL 3347). Il dentuto tracannatore di tamarindo è effettivamente vittima di una serie di circostanze sfortunate che lui attribuisce all’operato della malasorte. Tra partite a tombola perse, alberi che cadono in posti sbagliati, autobus persi e chiavi che si spezzano nella serratura, quella di Bum Bum è ormai diventata una fissazione e per sbeffeggiarlo Paperino e Archimede decidono di regalargli un cilindro-amuleto, appartenuto secondo i due nientemeno che al grande mago Quadrifoglius. Plausibile.
I due inizialmente se la ridono alle tozze spalledell’amico ma ben presto il copricapo dalla discutibile fantasia coccinella sembra cominciare ad avere effetti positivi sulla sorte di Bum Bum, il quale colleziona un colpo di fortuna dopo l’altro. Che il talismano funzioni davvero? Per accertarsene i due lo sottraggono nottetempo e il giorno dopo un visibilmente contrariato Bum Bum si presenta a casa di Paperino per riprendersi il cilindro. Ne scaturisce una zuffa che culmina in un rocambolesco inseguimento su dei go kart. Tutto è bene quel che finisce bene (tranne che per uno dei go kart, che ha la sfortuna di uscire dalla vicenda piuttosto malconcio). I tre realizzano di essersi fatti prendere la mano dalla superstizione e si riappacificano, regalando il cappello a un pittore di strada. (Ricordiamoci del pittore, ci servirà più avanti).
Perché siamo superstiziosi?
Semplificando molto un concetto più articolato, diciamo che il nostro cervello lavora per scorciatoie cognitive. In altre parole sovrastimiamo e diamo più peso a ciò che ci costa meno energie psichiche, come in questo caso il pensiero superstizioso. Va detto che il paper l’uomo è sempre stato superstizioso: simboli, azioni, rituali apotropaici sono parte di ogni cultura. Una varietà di oggetti, di riti, di gesti (più o meno eleganti) viene scomodata ogni giorno per esorcizzare qualcosa su cui sentiamo di non avere controllo: il caso. Controllare il caso, quindi, ingabbiarlo dentro i confini certi e rassicuranti del conosciuto e controllabile.
La vera sfortuna è non riuscire a vedere il bicchiere mezzo pieno.
La chiave di lettura di tutta la vicenda arriva da Paperino. Un Paperino ispirato: lui, la vittima prediletta degli scherzi della sfortuna, proprio lui, da anni sbertucciato e sbeffeggiato dalla dea bendata, pronuncia la frase chiave. “La verità è che si ostina a vedere il bicchiere mezzo vuoto!”. Insomma – sembra dirci Mastantuono -, credete un po’ a quello che vi pare: se un buffo cappello coccinellato vi regala la giusta attitudine nei confronti della vita, che ben vengano le fantasie assurde, i cilindri improponibili, i rituali scaramantici. Mi piace pensare che l’inaspettata conclusione della vicenda per il pittore di strada sia diretta conseguenza della sua nuova, positiva disposizione d’animo dopo aver ricevuto il cilindro. Chissà.
Nell’era dell’intelligenza artificiale e della conquista dello spazio ci ostiniamo a credere ancora alla sfortuna, all’allineamento degli astri, alle previsioni di Paolo Fox (che però dice sempre di verificare l’oroscopo e quindi va bene, dai). Comodo pensare che se le cose ci vanno male ci sia una colpa da ricercare e da attribuire all’esterno perché – che cavolo – la dea è bendata. Ci turba di meno pensare all’azione di strane forze, fanciulle bendate, fenomenali poteri cosmici, che il pensiero del vuoto, il pensiero che non ci siamo nient’altro che noi e quello che facciamo.
In un universo totalmente regolato dal caso, a fare la differenza è il nostro atteggiamento di fronte agli eventi. Che di per sé non sono né fortunati né sfortunati: siamo noi ad attribuirgli, spesso erroneamente (di certo arbitrariamente), un significato. Capiamoci, non sto dicendo che non esistano sfortune nere o periodi no. Sto semplicemente dicendo che, se i paperi ci hanno insegnato qualcosa, è che c’è sempre un altro arcobaleno. Tenetelo a mente.
Marta Leonardi